MENSILE D'INFORMAZIONE E DI SERVIZI - SETTEMBRE 2000


I CONSIGLI DEL COMMERCIALISTA
a cura delle Dott.sse Simonetta Murolo e Sabina Aiello

SI AVVICINA LA FINE DELLO
SCONTRINO FISCALE?

Al ritorno dalle ferie, forse una notizia un po’ rivoluzionaria, ma in fondo non del tutto negativa per chi - come noi - affronta la vita del quotidiano con grinta e...grande spirito di avventura! Pare che la regolamentazione degli studi di settore messa a punto nel corso dell’anno voglia comunque dare i suoi frutti non tanto in favore dei commercianti dal punto di vista sostanziale, ma almeno dal punto di vista formale. Ed almeno un piccolo aiuto lo potrebbe dare ai consumatori. Obiettivo degli studi di settore è infatti quello di stabilire -almeno in teoria- quelli che dovrebbero essere i presunti ricavi e compensi minimi delle piccole e medie aziende, tenuto conto di parametri che l’amministrazione finanziaria pone in essere, quali, per esempio, ubicazione del locale, ampiezza dello stesso, presenza nelle vicinanze di parcheggi o grandi magazzini, vicinanza al centro storico, impiego di forza lavoro, valore e quantità di beni strumentali, etc.... La conseguenza naturale di tale applicazione potrebbe essere quella di cercare di superare la funzione fiscale dello scontrino. Nel comunicato stampa del 4 luglio 2000 viene chiarito dallo stesso ministro delle Finanze che “l’obiettivo è quello di raggiungere la massima semplificazione possibile nel rispetto delle esigenze di controllo imposte dalle normative comunitarie”. Lo scontrino potrebbe continuare ad esistere, quindi, ma solo come strumento di gestione aziendale e come garanzia di trasparenza nei confronti del consumatore. Una buona notizia, dunque. Ma è altrettanto una buona notizia il risultato dei ricavi presunti minimi risultato degli studi di settore?


L'AVVOCATO CIVILISTA RISPONDE
a cura dell'Avv. Vincenza Maniaci - Catania

RISTRUTTURAZIONE
E FORNITURA MATERIALE

Circa due mesi prima delle vacanze estive ho firmato con una ditta specializzata in ristrutturazioni un contratto per la fornitura di alcuni materiali e per i relativi lavori di installazione nella mia abitazione. Per varie ragioni si trattava di lavori e di installazioni da seguire con la massima urgenza ed entro certi termini e ciò è stato preliminarmente chiarito fra me e la ditta e specificato chiaramente nel contratto. Come richiestomi alla firma del contratto ho versato un acconto pari a circa il 30% + Iva del prezzo totale concordato per i materiali ed i lavori. Nonostante ciò la ditta non ha rispettato il contratto, i nostri accordi e soprattutto il termine convenuto adducendo motivazioni poco chiare ed asserendo che il termine per l’ultimazione dei lavori non era sufficiente e bisognava tenere conto anche degli altri impegni della ditta. So solo che i lavori sono stati cominciati e sono durati appena tre giorni (dopo ciò la ditta non si è più fatta vedere) e si sono concretizzati nello smantellamento di parte del mio immobile che ancora oggi si trova in condizioni peggiori di quelli iniziali. Ritengo di essere stato gravemente danneggiato e penso che se la ditta sapeva di non poter rispettare il contratto e di non poter eseguire i lavori nei tempi per me essenzialmente necessari e immediatamente chiariti non avrebbe dovuto accettare il lavoro. Ho contestato tutto ciò per iscritto e anche l’inadempimento del contratto e ho richiesto innanzi tutto l’immediata esecuzione ed ultimazione dei lavori, ma tutto è stato inutile. Ho anche chiesto il risarcimento dei danni ma la cosa più grave, comunque, è che a fronte delle mie tante lamentele e degli infiniti solleciti e, soprattutto, della richiesta almeno del rimborso dell’acconto da me versato la ditta si è rifiutata perchè, a suo dire, in base al contratto avrebbe diritto di trattenere l’intero acconto come risarcimento (non si sa di cosa)e sarebbe esonerata da ogni responsabilità nei miei confronti mentre io nel contratto avrei approvato una clausola per la quale non mi era consentito contestare nessun inadempimento. Non mi pare di avere discusso, firmato nè accettato niente del genere diversamente non avrei mai aderito a un contratto per cosÏ pregiudizievole e rischioso. Ritengo di essere stato truffato e desideravo sapere se esistono leggi che tutelano tutti coloro che come me incorrono in queste situazioni veramente incresciose e paradossali. Fernando Villa Il lettore non specifica alcuni dettagli di un certo rilievo ai fini di una risposta specifica e maggiormente esaustiva al quesito che, comunque, meglio potrà essere fornita sulla scorta dell’esame della documentazione contrattuale, della forma e della tipologia della stessa. Nella fattispecie ci si permette di suggerire al lettore di rivolgersi al proprio legale di fiducia per tutte le opportune attività del caso mentre, in linea estremamente generale, possono senz’altro richiamarsi le disposizioni contenute nel codice civile per il caso di clausole particolarmente onerose (c.d. clausole “vessatorie”) contenute nei contratti e quali sembrano essere quelle riferite in seno a quanto prospettato. Va innanzi tutto rilevato che l’art. 1341 cod. civ. in materia di condizioni generali di contratto stabilisce che determinate clausole - per essere efficaci- devono essere approvate specificatamente per iscritto, ovvero e più praticamente he, oltre alla firma del contratto nel suo insieme, vanno richiamate separatamente e firmate ulteriormente anche le clausole stesse (la c.d. “doppia firma”). Si tratta, a titolo solo semplificativo, di quelle clausole che stabiliscono, in favore della parte che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità o facoltà di sospendere l’esecuzione del contratto oppure che stabiliscono a carico dell’altra parte limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni. Sembrano comunque più pertinenti al caso sottoposto le norme contenute nel libro IV del codice civile in materia di contratti del consumatore e precisamente, l’art. 1469 bis e seguenti. La norma citata, che si occupa delle clausole vessatorie nei contratti conclusi tra il consumatore ed il professionista (intendendosi per tale anche chi svolge attività imprenditoriale), stabilisce al 1° comma che si considerano vessatorie, malgrado la buona fede, tutte quelle clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Lo stesso articolo, al terzo comma, prosegue con una elencazione delle clausole che -fino a prova contraria -si presumono vessatore e fra le stesse (in totale 20) enuclea le clausole che limitano la responsabilità del professionista per fatti od omissioni del professionista medesimo (art. 1469 bis n.1), quelle che escludono o limitano le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista per il caso di suo inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto (n.2), quelle che impongono al consumatore il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento o di penale (n.6), quelle che limitano od escludono la possibilità per il consumatore di opporre l’eccezione di inadempimento del contratto (n.16), etc. Inoltre, l’art. 1469 quinquies cod civ. considera comunque inefficaci alcune di queste clausole e precisamente quelle di cui a nn 1,2 e 10 dell’art. 1469 bis prevedendo che tale inefficacia opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.


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